Sono Irene, 29 anni, la più piccola di tre sorelle, cresciuta in una famiglia acqua e sapone in un piccolo paese di campagna nella provincia di Cuneo. Papà artigiano del legno, lavorava con mamma.
Mi sono appassionata allo sport da bambina, avendo avuto la fortuna di poter praticare arti marziali per molti anni, per poi scoprire un amore profondo per gli sport outdoor, a contatto con la natura ed il silenzio. Approdo al ciclismo come ultima espressione di questi elementi, spazio che custodisco gelosamente.
Mi occupo di sport anche nel mio lavoro e sono felice di poter aiutare le altre persone a stare meglio!
Amo la natura e i suoi odori, il silenzio, i libri.
La comunicazione della malattia di papà è avvenuta in pieno periodo Covid, con un grande ritardo nella diagnosi. Non si è mai pronti a sentire certe cose, perchè quando arriva QUELLA notizia ti senti morire letteralmente. Tumore al polmone, stadio avanzato, metastasi varie.
La disperazione e la paura sono stati i primi sentimenti ad arrivare in un quadro di salute che per papà era già ampiamente complesso. Vedi solo buio, zero speranza. Si sono susseguiti molti stati d'animo: rabbia, senso di ingiustizia, smarrimento.. ma il peggiore è stato sentirmi del tutto incapace ed impossibilitata nel fare qualcosa di utile. All'inizo fare amicizia con parole come "chemio, tumore" non è stato facile..usi molti sinonimi che sembrano attutire il colpo, ma di fatto poco cambia. Dopo il primo periodo, in qualche modo, hai bisogno di convivere con questa nuova realtà che stravolge la vita di tutti: la speranza, per me, è stata portabandiera di tutto il cammino. Dopotutto ci sono persone che con un tumore ci convivono.
L'aspetto più complesso, però, è stato per me gestire il rapporto con mio papà: si innescano meccanismi di protezione reciproca nei quali ci si nasconde la sofferenza rispettiva (ma anche la felicità), dove si fa attenzione alle parole da usare in un discorso, dove ci si sente in colpa per aver trascorso una bella giornata in montagna. Con quale coraggio ti racconto la mia serenità quando il tuo tumore ti ha tolto anche la possibilità di camminare?
Un' amica, un giorno, mi ha detto "Irene, io sono mamma e da mamma non desidero altro che vedere mio figlio felice e sapere cosa lo rende felice. Parla e racconta cosa fai a tuo papà, i tuoi momenti belli possono essere anche i suoi". E' stato difficile trovare il modo, le parole, il momento giusto per farlo..ma la malattia toglie tanto, non può togliere anche l'affetto.
Ho vissuto e condiviso la malattia di papà con poche persone e molto poco: ci si sente difficilmente compresi ed è vero che se non hai vissuto Quella sofferenza, non puoi capire il dolore che si prova. E' vero anche, però, che ci si può sentire abbracciati, supportati e rispettati nel dolore anche da parte delle persone che per loro fortuna non hanno fatto questo percorso. Nel mio caso un'amica ed in particolare la mamma.
Il percorso vissuto mi ha resa molto diversa da qualche anno fa. La sofferenza fisica ed emotiva che ho visto in mio papà mi ha segnata molto: difficilmente possono uscire dai ricordi alcuni momenti.
E' vero anche, però, che ho imparato e ricevuto doni preziosissimi che porterò con me per sempre. Dopo la fase di disperazione, un mattino mi sono svegliata sentendomi profondamente grata per "esserci ancora tutti, nonostante la malattia". Mi sono detta "ok, partiamo da questo per riemergere e dare il mio meglio a papà!". Da quel mattino a darmi il buongiorno non c'è più stato un primo schiaffo di dolore, ma un gran senso di fortuna.
Ho sentito come vera e reale la consapevolezza quotidiana di esserci "qui ed ora" approfittando delle possibilità che arrivano, dicendo "ti voglio bene" quando ne ho voglia senza rimandare, e soprattutto capendo che solamente Quello (e malattie simili) è un problema e può (non per forza) ostacolarti nella vita. Tutto il resto è nelle mie mani, senza limiti. Credo che aver capito questa cosa a 29 anni sia un gran dono che questa malattia mi ha fatto. Ho imparato a lamentarmi meno e a sopportare meno i lamenti altrui: una metastasi al cervelletto ha messo in carrozzina papà da un giorno all' altro. Oggi cammino e sono autonoma, domani chissà.. preferisco godermi il mio tempo senza perdere energie in lamenti inutili.
Il mio incontro con Aimac è avvenuto tramite una persona della quale ricorderò la disponibilità e l'umanità, il dott. di Maio, che ci è stato di grande supporto umano nei momenti più difficili pur non essendo l'oncologo di papà. Durante la malattia ho sentito la necessità di fare di tutta questa sofferenza qualcosa di utile, unendo la mia passione per il ciclismo col fare del Bene. Mi sono resa conto che malato, la famiglia, il caregiver hanno BISOGNO ASSOLUTO di sapere cosa fare e quando, di essere formati ed informati in merito alle cure, ai diritti, alle agevolazioni che è possibile richiedere.
Scrivo al dottore raccontandogli la mia idea e vengo messa in contatto con l'associazione.
Oggi sono la stessa persona di qualche anno fa: la testa tra le nuvole, tanti sogni, appassionata di sport, che non vede l'ora di respirare aria leggera e vivere con nuove consapevolezze, facendone qualcosa di buono per sè e per gli altri.
La nostra storia non ha avuto lieto fine, ma ho scelto (e sottolineo "scelto") di non crogiolarmi nella sofferenza: i momenti di dolore c'erano, ci sono e ci saranno, ma ogni giorno scelgo di accogliere quei momenti come parentesi di una giornata che, però, non rappresentano la mia vita intera.
Restano in me paure e un po' di dolore da smaltire: e se dovessi ammalarmi io, cosa farei? Ad oggi non ho risposte.
Sono molto più sensibile alla sofferenza altrui: siamo così presi dalle nostre attività che non ci rendiamo conto di cosa può vivere chi incontriamo ogni giorno. Quando una persona cara affronta la chemioterapia impari a conoscere i segni che lascia e difficilmente non li riconosci negli altri. Questo mi ha resa più disponibile e gentile (in senso profondo) con le altre persone.
Mi è stato di enorme aiuto leggere (in uno di quei tanti post che ci passano casualmente sotto mano sui social) che la mia sofferenza durante la malattia di papà non era l'unica al mondo: altre persone stavano soffrendo come me, più di me, altre erano sopravvissute a quel dolore e lo avevano superato, oppure no. Ecco, lì mi sono ridimensionata e ho sentito di non essere sola in quel percorso tanto difficile.
Questo mi ha portata a voler condividere la mia storia.