Sono Mirella, una donna felice e piena di vita, serena. Una vita normale, un precedente matrimonio, due figli ormai grandi. Un lavoro ed un nuovo amore profondo, ricambiato allo stesso modo. Pieno di risate, simpatia, profondità di pensieri e voglia di stare insieme.. Eravamo amici da 15 anni, ognuno con la sua precedente vita ormai agli sgoccioli.
Gaetano una mattina sente un dolorino alla pancia, e decide di andare a farsi una ecografia. Non lo accompagno, certa di trovarlo la sera a casa tranquillo. Eravamo appena tornati da un viaggio a NY ed eravamo al settimo cielo. Ed invece tutto si ferma. La dottoressa gli trova una “cosa” di 10 cm al fegato, e gli consiglia di andare a fare subito una TAC.
Quella sera si ferma tutto, per sempre: è chiaro che c’è qualcosa che non va.
Io mi “congelo”, decido di essere ferma, serena, e di appoggiarlo in tutto. MA, sono ferma su poche decisioni. Prima troviamo un medico… da cui andare per fare la TAC, decidiamo l’ospedale presso cui metterci in cura, per evitare di girare l’ Italia in lungo e largo. Siamo a Roma, sono tutti ottimi ospedali. Decidiamo per quello più vicino a casa, visto che probabilmente lo dovremo visitare spesso nei mesi a venire. Non ascoltiamo nessuno, né figli né altri, abbiamo solo fretta di fare la TAC e parlare con il Medico, un “chirurgo” suggerisco io.
In appena 13 gg abbiamo la diagnosi: colangiocarcinoma alle vie biliari. Speranza di vita: zero. Ma decidiamo di tentare, facciamo tutto quello che i medici ci dicono..cos’altro avremmo potuto fare? Parliamo di Morte, della sua, una unica volta:” io morirò e tu andrai avanti nella tua vita, ma io ti resterò sempre attaccato” mi dice. Non parleremo mai più di morte, ma di cure. Cerchiamo di non inquinare la nostra vita dalla paura della morte, quello che ci resta della nostra vita insieme.
Io faccio piroette, lo faccio ridere. Ed iniziamo questo lungo percorso: operazioni, 2 ne ha subite, poi la riabilitazione, il tentativo di rimettersi in forze per poter sopportare le chemio: “ne dovrai fare tanta gli dice il Chirurgo”. Nuova Tac dopo l’ultima operazione e l’oncologo gli dice: potrebbe già essersi riformato tutto come 3 mesi fa. Ma noi decidiamo di crederci, non ascoltiamo l’oncologo Cassandra, e via a tentare di riacchiappare la nostra vita. Io parlo sempre al plurale perché noi siamo stati malati insieme. Non è facile descrivere la vita di un caregiver, come si debba essere sereni fuori mentre vorresti solo svegliarti da questo incubo. Si vive alla mezza giornata, al singolo dolore, al singolo problema. E di chemio ne facciamo tanta.. lui sta bene, reagisce bene… una vita quasi normale, ma non va. La chemio non va bene. Il fegato non reagisce come dovrebbe. Dobbiamo fare un’altra linea di chemio, diversa e più mirata. Passiamo natale, congelati, senza pensare che questo potrebbe essere l’ultimo. A gennaio si ricomincia, e per un po' sembra funzionare. Lui sta meglio, inizia ad avere la speranza che forse ce la fa a vivere un altro po' con me, mi porta a spasso, camminiamo un po' con le nuove forze ritrovate, mi fa regali continuamente, ed io capisco che lui sa che saranno gli ultimi.. e poi gli dicono che questa chemio funziona, il fegato reagisce. Siamo talmente felici che lui programma le vacanze di Agosto. Mi dice che non potrà fare i bagni al mare, ma un po' di sole lo potrà prendere, magari sotto l’ombrellone: “sono stanco di medici ed ospedali, ho bisogno di staccare un po'”.
Ma non andremo mai più in vacanza. Gli iniziano dolori alla schiena lancinanti, nessun antidolorifico fa effetto. Forse deve essere operato alla spina dorsale che nel frattempo si sta sbriciolando, ma noi non lo sappiamo ancora. Facciamo la radio.
Gaetano mi ha protetto dalla sua malattia.
E tutto finisce di botto una mattina. Si stavi preparando per andare in ospedale per fare la Radio, ma cade in terra. Lo porto in ospedale in ambulanza, e dalle facce dei tuoi medici capisco che non va bene, che qualcosa è andato storto. E lui sempre a tranquillizzarmi ed io a tranquillizzare lui.
Una settimana dopo, di sera, quasi per caso scopro che è finita. Questa cosa non l’ho raccontata né ai miei figli né ai suoi. Troppo doloroso. Quella sera sono in corsia, sono quasi le 21.00. all’epoca non c’era il covid e mi lasciavano restare senza problemi. Passa il Medico di turno: signora che antidolorifici prende suo marito? Faccio mente locale. Poi lo rincorro per il corridoio e gli dico: mi scusi, mi sono dimentica di dirle che mio marito stasera ha la febbre. E lui, gelido come una lama di coltello tenuta in freezer mi dice: che importanza può avere, visto che deve andare in Hospice. Hospice? Ma non dovevamo solo fare qualche analisi e tornare a casa? Capisce che io non sono stata avvisata del fatto che non c’è più niente da fare e mi dice di chiedere il giorno dopo all’oncologo. Passo una notte di inferno, la prima di tante a seguire, non voglio dirlo a nessuno, non riesco a condividere con nessuno questo dolore. l’indomani convoco le sue figlie: dobbiamo parlare con il Medico, venite in ospedale. E lì finisce tutto: non c’è più nulla da fare signora, abbiamo interrotto le cure. Ma avrà sbagliato cartella clinica!!! non può essere il mio Amore, ricontrolli il nome per favore! Ed invece è proprio Gaetano.
Io, congelata di dolore ma decisa a non far trapelare nulla, entro nella sua stanza tutta sorridente. Quante bugie gli ho detto in quel periodo. Almeno tante quante me ne hai dette lui. Le sue figlie decidono di non dirgli nulla. Io rispetto questo loro desiderio ma mi tormento: lo voglio trattare da Uomo, e non da malato. E’ ancora capace in parte lucido, forse lo vorrebbe sapere. Oppure lo sa già, lo ha capito, ma non vuole dirmelo, non vuole farmi preoccupare. E lì inizia una storia infinita.
Io dormo sul divano di casa vestita e con le scarpe e le chiavi della macchina a portata di mano. Ho il terrore che mi chiamino di notte e che io non possa stare con lui nel momento del trapasso. Lui non vuoi stare solo, ed io voglio essere presente al suo ultimo respiro, accompagnarlo di là, per come posso, sperando che non abbia paura. All’inizio di tutto mi aveva fatto promettere di farlo morire a casa nostra. Ma non ci sono riuscita. Gli infermieri mi dicono di lasciarlo andare... con i valori che ha dovrebbe essere già morto. Lo lasci andare, resta vivo solo per lei, lo lasci andare..
Il primario mi chiama e mi dice di portarti in Hospice, che hanno bisogno del letto per salvare qualcun’altro. E non faccio in tempo a portarti a casa. Ti aggravi di botto, e poco prima di entrare in coma mi dici: Ti amo tanto e mi baci.. e non ti posso portare a casa nostra. Signora è troppo grave. Non c’è nulla da fare. Ti portano in hospice. Ma per fortuna ci resta solo 4 ore, non riprendi conoscenza, ti riempiono di morfina, e…. ciao amore mio. A quel punto ti ho lasciato andare.
2 gg prima mi avevi detto che quella non era vita, immobilizzato a letto da un mese, pieno di tubi, ossigeno e sopratutto dolori talmente forti da richiedere continuamente la morfina.
Io sono cambiata, certo. Veder morire la persona che ami in un modo così brutale, è dura. Mi sono indurita, mi sono chiusa. Ho passato un anno congelata, senza riuscire nemmeno a provare pietà per me. Parlavo solo di lui, pensavo solo a lui. Ho pianto ininterrottamente per un anno, buttata sul divano, senza sapere se fosse giorno o notte, incapace di fare anche le cose più semplici, come farmi un caffè. Quando guidavo ero pericolosa perché piangevo e non vedevo la strada. Mi bruciavano gli occhi, piangevo e svenivo per la stanchezza ed il dolore. Mi svegliavo e ricominciavo a piangere disperata, pensando che un dolore così forte fosse capitato solo a me, e che non potesse essere capitato ad altri.
Cercavo su internet di tutto sul dolore, la morte, a come fosse possibile sopravvivere ad una morte così brutale. Solo con i miei figli riuscivo in parte a sublimare il dolore. Ma quando mi ritrovavo di nuovo sola, non c’era angolo in cui potessi rifugiarmi.
14 gg dopo sono imbattuta in AIMAC, ho iniziato a leggere di notte le storie degli altri, a piangere anche per le loro storie, ed ho iniziato a scrivere sul Forum, per buttar fuori il mio dolore. E sono ancora sul Forum. Alterno momenti di prolungata assenza a momenti di continua presenza. Ho trovato delle altre me, degli altri me con cui confortarci e confrontarci. Con alcuni siamo diventati amici nella vita reale.
Quando è arrivata la pandemia ho ringraziato il cielo che Gaetano fosse già morto. Avrei trovato intollerabile non potergli stare accanto, sarebbe stato ancora più doloroso per entrambi. La pandemia non mi ha fatto nulla, io ero già murata in casa da mesi.
Oggi a distanza di quasi 3 anni sono cambiata, ma ho ricominciato una sorta di vita, che non mi piace perché non è la vita che avevo, ma cerco di essere grata per quello che mi è rimasto. Cerco di essere empatica con il dolore degli altri, con le storie degli altri.
Mia figlia non vive in Italia, e quando è ripartita dopo un lungo periodo passato con me mi ha spedito in psicoterapia.. È stata la mia valvola di sfogo, il luogo in cui potevo essere me stessa. E sopratutto è stato un appuntamento che mi ha dato un motivo per uscire di casa, per farmi una doccia e sentirmi quasi normale. Sono tutt’ora in analisi, è un momento che mi concedo per parlare del dolore, poi esco e faccio altro.
La mia storia l’ho raccontata in vari modi sul Forum dell’AIMAC, perché a me ha fatto bene aver contatti con altri vedovi/e, anche più avanti nel percorso di elaborazione del Lutto. Io volevo imparare dagli altri a sopravvivere, a non sentirmi in colpa per essere ancora viva. Questo, se non ci sei passato, non puoi comprenderlo: sentirsi in colpa per essere ancora vivi...
Gaetano vorrebbe che io fossi felice. E’ paradossalmente la persona che più di tutti fa il tifo per me, lo so. Appena Gaetano è morto mi sono letta tutte le cartelle cliniche che lui non voleva leggessi: non c’era nulla da fare, dall’inizio.
Al chirurgo, poi chiesi perché lo avessero operato sapendo già come sarebbe andata a finire. Mi ha risposto che abbiamo avuto un altro anno di vita insieme e, sopratutto, che la morte per lui è giunta più dolcemente.
Sono felice di essere stata con lui in ogni attimo di questo atroce percorso.