Il tumore della mammella rappresenta il più frequente tumore femminile.
Gli studi epidemiologici hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che alti livelli sierici di androgeni e, dopo la menopausa, di estrogeni, favoriscono lo sviluppo di carcinomi mammari.
Molti di questi studi hanno inoltre evidenziato un aumento di rischio associato ad alti livelli sierici di insulina, di fattori di crescita ed alla presenza di alterazioni metaboliche (alterazioni della glicemia, del colesterolo HDL, della pressione arteriosa ecc.). Poiché l’importanza dello stato ormonale in relazione al rischio di tumore della mammella è ormai dimostrato, i fattori “ambientali” che influenzano il rischio di malattia possono essere diversi proprio a seconda dello stato ormonale (ossia prima o dopo la menopausa).
Il Rapporto WCRF riporta i seguenti determinanti per il tumore della mammella:
FATTORI PROTETTIVI CONVINCENTI
- allattamento, per i tumori che insorgono sia prima che dopo la menopausa
FATTORI DI RISCHIO CONVINCENTI
- alcol, per i tumori che insorgono sia prima che dopo la menopausa
- obesità, per i tumori che insorgono solo dopo la menopausa
FATTORI PROTETTIVI PROBABILI
- sovrappeso in età pre-menopausale
- attività fisica in post-menopausa
FATTORI DI RISCHIO PROBABILI
- aumento di peso e dell’adiposità addominale dopo la menopausa
- elevato peso alla nascita
Relativamente a fattori più strettamente legati alla dieta, gli studi epidemiologici hanno dato risultati spesso incoerenti sia sui nutrienti, in particolare sulla relazione con il consumo di grassi totali e saturi, sia su specifici alimenti, ad esempio il latte e le carni. La ragione di queste difficoltà potrebbe dipendere dalla scarsa accuratezza dei questionari alimentari, ma anche dal fatto che lo stile alimentare complessivo delle popolazioni ad alto rischio è più importante che non l’esposizione a singoli fattori, un aspetto che le tecniche epidemiologiche comunemente usate non sono in grado di valutare compiutamente. Il Rapporto WCRF riporta soltanto il consumo di grassi totali come un possibile fattore di rischio per il tumore della mammella in età post-menopausale, ma comunque con limitata evidenza scientifica.
E’ comunque importante ricordare che le alterazioni ormonali e metaboliche, legate agli ormoni sessuali, all’insulina, ai fattori di crescita ed ai fattori metabolici che sappiamo ormai essere chiave per l’insorgenza dei tumori della mammella, riconoscono cause genetiche ma anche nutrizionali. E’ stato dimostrato, infatti, che i livelli di ormoni sessuali sono influenzati dalla massa di tessuto adiposo (dove sono sintetizzati sia androgeni sia estrogeni), dalla dieta e dall’attività fisica (che migliora la sensibilità insulinica). Sarebbero sufficienti 30-40 minuti al giorno di un’attività fisica moderata, pari ad una camminata a passo veloce, per ridurre significativamente l’incidenza di tumori mammari e le recidive degli stessi.
Un cambiamento complessivo della dieta, volto a ridurre il consumo di zuccheri raffinati e di grassi saturi è in grado di ridurre il livello sierico di insulina e, di conseguenza, la biodisponibilità di ormoni sessuali e di fattori di crescita. Una dieta iperproteica, inoltre, si associa ad elevati livelli sierici di fattori di crescita, (in particolare di fattore di crescita insulino-simile di tipo I) che sappiamo aumentare il rischio di tumore della mammella.
Gli aspetti dell’alimentazione che favoriscono le alterazioni ormonali associate al cancro della mammella sono gli stessi che favoriscono la sindrome metabolica associata al diabete e alle malattie cardiovascolari, definita convenzionalmente dalla presenza di tre o più dei seguenti fattori: iperglicemia, ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL, ipertensione e adiposità addominale. Ciascuno di questi fattori è risultato associato al tumore della mammella in studi epidemiologici, e ci sono sempre più indicazioni che la sindrome metabolica e le alterazioni ormonali che l’accompagnano siano associate anche ad una prognosi peggiore.
Tratto dalla pagina di tumori.net a cura di Patrizia Pasanisi - Epidemiologia Eziologica e Prevenzione, Fondazione IRCCS "Istituto Nazionale dei Tumori"